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Dogliani, Cuneo
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iinghilterra

Quel mattino Vigin  si alzò alle tre del mattino,accese il lume,si vestì e andò in cucina. Mise un po' d'acqua nel catino e si lavò la faccia. Quella notte non aveva chiuso occhio e neanche Jetina sua moglie. Era il giorno della fiera del "Bue Grasso" a Carrù  e  quell' anno era giunta l' ora di vendere il vecchio bue "Miclot".

Uscì,andò nella stalla,prese la coperta da bue,lo coprì,lo slegò dalla catena e insieme uscirono dalla stalla. La strada era lunga,il bue era lento nel camminare e avrebbero impiegato almeno tre ore per arrivare a Carrù.

Il buio era fitto e lungo la strada si scorgevano ombre di altre persone che si recavano alla fiera con i loro animali.

Vigin aveva comprato il bue dieci anni prima da Miclot e per questo gli aveva dato questo nome.

Miclot gli aveva raccomandato di non avvicinarsi mai al bue con un bastone o un rametto,perché era spaventato a morte da queste cose,(forse era stato picchiato dai precedenti proprietari.....) ma che avrebbe ubbidito anche se non si aveva nulla in mano.

Infatti, a differenza degli altri buoi che temevano solo il bastone, questo sembrava capire le parole.

Vigin e Miclot ararono insieme campi e vigneti per intere stagioni e non ci fu mai bisogno di nessuno a guidare il bue.

Vigin diceva: "Miclot.. sotto! E il bue scendeva nel solco. Miclot...sopra! E il bue saliva sopra.  Quando Vigin si fermava un momento all' ombra per una fumata di "trinciato"(tabacco preferito dagli uomini di Langa) il bue si riposava con lui e annusava  anche lui il fumo del tabacco.

L' inverno in cui Vigin e suoi fratelli avevano fatto lo scasso per piantare il vigneto dell"Utin Grand" il bue Miclot era stato un grande aiuto.

Con l' aratro tracciavano un solco,poi un altro all' interno di questo e poi con le pale svuotavano lo scavo e ancora così per altri due solchi.

Impiegarono tutto l' inverno,ma fecero un bel lavoro.

Nelle giornate fredde il bue sudato non poteva stare fermo,si sarebbe ammalato. Allora nel tempo che si impiegava a svuotare lo scavo il bue doveva tornare alla stalla.

Miclot non ebbe mai bisogno di farsi accompagnare. Vigin lo slegava dall' aratro e gli diceva: "Miclot...a casa"  e il bue tornava da solo.A casa la vecchia madre apriva la  porta della stalla e lui entrava tranquillo.

Quando il solco era pronto Vigin e i suoi fratelli facevano un fischio alla madre seduta vicino alla finestra a fare lo "scapin"(parte sottopiede delle calze che veniva sostituita sovente per il logorio dentro gli zoccoli di legno). Lei apriva la porta della stalla e Miclot partiva e si avviava verso l' aratro senza mai dimenticare a che punto del campo l' aveva lasciato.

Dieci anni erano tanti e ora Miclot non ce la faceva proprio più. Era vecchio e stanco e tenerlo ancora non era più possibile. Per questo Vigin camminava  sulla strada per Carrù con un bue al seguito.

Arrivarono alla fiera verso le cinque del mattino e Vigin legò "Miclot" alle sbarre con gli altri buoi, gli battè una pacca sul collo e andò all'osteria a mangiare un piatto di bollito e bere un bicchiere di dolcetto.

Lì incontrò molti amici che come lui erano venuti, chi a comprare e chi a vendere i buoi.

Quando si aprirono le contrattazioni "Miclot" fu venduto fra i primi perché pur essendo vecchio era ben tenuto,con il pelo lucido e curato e si vedeva che non aveva fatto la fame,la sua carne avrebbe dato ancora del buon bollito.

Più tardi,dopo le premiazioni,i buoi vennero condotti alla stazione per essere caricati sui carri bestiame.

Vigin si avviò anche lui con il suo Miclot e quando arrivarono alla stazione e vide i    "tucau"(conduttori di buoi) con dei grossi bastoni nodosi in mano si ricordò della paura del suo bue.

Chiese allora di condurlo personalmente sul vagone. Salì per primo e Miclot salì la rampa dietro di lui fra lo stupore generale. Vigin legò la corda alla sbarra,gli battè una pacca sul collo e si allontanò col capo chino. Miclot si girò,emise un leggero muggito,forse un saluto e si rassegnò al suo destino.

Vigin non si fermò a parlare con nessuno quel giorno e qualcuno disse di aver visto una lacrima sul suo viso segnato dalla fatica e bruciato dal sole delle Langhe .

Vigin ebbe ancora molti buoi, ma nessuno come Miclot.

 

Vigin and Miclot the Ox  

On that day Vigin got up at three in the morning, lit his lamp, got dressed, and went into the kitchen. He poured some water in a basin and washed his face. The night before he hadn’t gotten a wink of sleep, nor did his wife Jetina. Today was the day of the “Fat Ox” fair in Carrù and this year the time had came to sell his old ox “Miclot”. He went outside to the stable where he grabbed a blanket to cover the ox, then, after letting the animal loose from his chain, they left the stable together. The road from Dogliani to Carrù was long and the ox was slow - it would take them at least two hours to get there. It was very dark outside and along the road they would catch sight of other people’s shadows as they made their way to the fair with their own animals.

Vigin had bought his ox ten years before from a man called Miclot and that was the reason he had given him that name. Miclot, the man, had advised him to never approach the ox with a stick or a branch because those things would frighten the animal to death - maybe the previous owners used to hit him – the ox would have obeyed him even with bare hands. Sure enough, unlike other bovines that bowed only to the stick, this one seemed to understand his owner’s words. Vigin and Miclot together had ploughed many fields and vineyards for many seasons but no one had ever needed to guide the ox. Vigin would say, “Miclot, put your back into it!” And the ox would get in the furrow. When Vigin would stop in the shade to rest and smoke some shag - the favorite tobacco of the Langhe men - he too would rest while smelling the tobacco smoke.

That winter, when Vigin and his brothers had ploughed the vineyard at the “Utin Grand”, Miclot the ox had been a great help. They would trace a furrow and then a second inside the first one and empty them with their shovels. After that, they would trace another two furrows and repeat the same actions to get a twenty-five or thirty-inch ditch.

It took them the entire winter, but in the end it was a well done job.

On the cold days, the sweaty ox couldn’t just stop or he would get sick. So, while the brothers would empty the ditch, the animal would go back to the stable. Alone. Nobody had ever needed to accompany Miclot. Vigin would let him loose from the plough and say, “Miclot, go home” and so the ox would go back by himself. At home the brothers’ old mother would open the stable door and Miclot would slowly go in. When a furrow was ready, Vigin and his brothers would whistle to their mother; she’d sit at the window working on the “scapin”, remaking the soles of the worn socks deteriorated by the wooden clogs. She’d open the stable door and Miclot would leave to find the plough. He had never forgotten the exact spot in the field where he had left it.

Ten long years had passed and now Miclot couldn’t bear it any more. He was old and tired. Keeping him was no longer possible. That was why Vigin was on the road to Carrù with his ox following him.

They arrived at the fair around five in the morning. Vigin tied Miclot to one of the metal bars with the other oxen, slapped him on the neck, and went to the tavern for some pot roast and a glass of Dolcetto wine. There he found many of his friends who had also come to buy or sell their oxen.

When the dealings started, Miclot was one of the first ones to be sold. His owner had taken good care of him and you could see that the ox never went hungry. He was old but well-groomed and his hair was shiny. His meat could still make some good pot roast.

Later that day, after the awards, all the oxen were taken to the train station and loaded onto livestock cars. Vigin also set off with Miclot, but when they arrived at the station, he saw that the “tucau” (oxen guides) had big knotty sticks in their hands, and he remembered his ox’s fear. For that reason, he asked them to let him personally guide his animal inside the freight car, went in first and, to the astonishment of everyone, Miclot followed him onto the ramp. Then Vigin tied his rope to the bar, slapped him on his strong neck and left, head down. Miclot turned mooing softly, almost as a farewell, and resigned himself to his fate.

On that day, Vigin didn’t stop to chat with people and some said to have seen a tear on his face marked by fatigue and burned by the Langhe sun.

Vigin had many other oxen after that but none like Miclot.

 


OMAGGIO ALLA GENTE DI LANGA

Vendemmia  Il temporale era veramente minaccioso, i lampi e  i tuoni si susseguivano con guizzi e scoppi terrificanti.  Ginota aveva chiamato i bambini, aveva radunato i pulcini nel pollaio e aveva acceso un cero davanti alla statuetta della Madonna perché stendesse una mano a protezione del loro raccolto.   Pinotu e i due ragazzi più grandi erano fuori per controllare tutte le ‘mposte (piccoli solchi per regimentare l’ acqua piovana) perché a volte bastava una piccola zolla a deviare l’ acqua e rovinare il terreno.

Ginota era veramente angosciata.

In cielo si vedeva la terribile nuvola bianca ribollente tipica della grandine e Pinotu e i ragazzi erano ancora fuori con solo un sacco in testa per ripararsi.

Quel terreno era quanto di più prezioso avevano, se lo erano veramente strappato con i denti.  Pinotu era andato fino in America per guadagnare un po’ di soldi e comprare della terra  per non continuare a fare il mezzadro, sempre incerto del suo futuro, legato all’ umore dei ricchi.

Il terreno che era riuscito a comprare non era un granchè.. un pezzo di boscaglia e una parte di collina instabile che si “sedeva” su se stessa ad ogni pioggia prolungata, con un piccolo “Ciabot”.. ma era sempre meglio della vita misera del mezzadro.

 Ginota e Pinotu si erano conosciuti alla festa di carnevale durante un ballo e si erano subito innamorati. Non c’ era stato bisogno di bacialè (sensale di matrimoni) per combinare il matrimonio.

Lei era figlia di mezzadri e senza dote ma a Pinotu non importava.

Lei era giovane e forte e non si era mai tirata indietro davanti a nulla, la dote ce l’ aveva nell’ olio di gomito!!  Insieme avevano cominciato a disboscare il terreno e per l’ autunno avevano già piantato un po’ di grano.   Durante l’ inverno Pinotu aveva iniziato lo scasso per impiantare anche un vigneto.  Il terreno era instabile e bisognava risanarlo.

Aveva studiato bene i punti critici  e aveva scavato dei canali profondi che arrivavano fino al tufo, disposti a lisca di pesce per raccogliere tutta l’ acqua e lì sul fondo aveva costruito dei cunicoli con le pietre raccolte in mezzo alla terra.

Li aveva poi coperti con dei rami affinché ci fosse un buon drenaggio e infine aveva ricoperto il tutto di terra.

Per due anni avevano piantato il grano e quando furono sicuri che il terreno non sarebbe più franato avevano tracciato i filari per piantare un vigneto di dolcetto.

I filari costeggiavano lo scosceso versante della collina con un impercettibile movimento di discesa verso le capezzagne affinché l’ acqua dei temporali  defluisse verso il fosso di regimentazione senza formare solchi nei punti sbagliati e trascinasse via la preziosa terra strappata al sottosuolo tufaceo. Questo avrebbe anche agevolato i buoi che in qualunque senso avessero tirato l’ aratro  non sarebbe mai stato in salita.

Questo vigneto avrebbe dato un reddito sicuro perché sarebbero arrivati i ricchi margari dalla montagna e i cascinè della pianura per accaparrarsi la pregiata uva “Dolcetto” e non ci sarebbe stato bisogno di sottostare ai sensali per la vendita.

Pinotu, insieme ai suoi fratelli, aveva tagliato molti pali di castagno nelle “piantunere” e durante l’ inverno li aveva scortecciati e appuntiti, quindi li aveva piantati tutti con le punte rivolte lungo il filare per dare un senso di ordine.

Il risultato era una armoniosa  ragnatela di filari che dava un senso di prosperità e riempiva di speranza per una vita migliore.

Ginota era bravissima  a legare con precisione i tralci, tutti ben dritti, con i grappoli ben separati, che potessero maturare bene ed avere un raccolto di prima qualità. 

Verso la fine dell’ estate, quando i lavori erano meno pressanti, Pinotu e Ginota si sedevano all’ ombra ad ammirare il loro piccolo appezzamento e pensavano che quello era una specie di Paradiso terrestre.

Ad ogni stagione c’ era un frutto, una pianta di ciliegio, qualche pianta di pesche, susine, fichi, mele e pere per l’ inverno.

Allo sbocco dei cunicoli di risanamento Pinotu aveva costruito una cisterna di raccolta dell’ acqua e predisposto una grande vasca con una grossa pietra che fungeva da lavatoio, così Ginota poteva fare il bucato quasi tutto l’ anno senza dover andare al torrente in fondo alla valle.  Quell’ acqua serviva anche per bagnare le piante del loro piccolo orto ed avere verdura in abbondanza.

E tutto questo ricavato da un pezzo di terra su cui nessuno avrebbe scommesso nulla!

Intanto alcuni chicchi di grandine cominciarono a cadere rumorosi insieme agli scosci di pioggia.

Alcune lacrime scesero sul viso di Ginota, Pinotu e i ragazzi erano ancora fuori…e tutto il lavoro di quell’ anno era a rischio…

Quando li vide arrivare di corsa, bagnati fradici il cuore si allargò e anche la grandine cominciò a diminuire, a cadere mista all’ acqua e infine cessò.

Per questa volta erano stati graziati!

Il danno non poteva essere molto e se fosse stata l’ ultima avrebbero avuto ancora un buon raccolto.

Questa piccola storia di vita quotidiana è stata scritta per ricordare cosa c’ è dietro questo paesaggio viticolo delle Langhe, oggi diventato patrimonio UNESCO.

Le Langhe sono state plasmate così come sono ora, da tanti Pinotu, Ginota, Vigin, Jetina……..che ne conoscono i segreti fin nelle viscere e con fatica, tenacia e lungimiranza le hanno modificate cercando per loro e per i loro figli, un futuro migliore.

Le vigne più belle restano ancora quelle tracciate da questa gente semplice ma GRANDE!!

Vorrei rendere omaggio a tutti loro con la speranza che questa opera sopravviva alla burocrazia, alla tecnocrazia e alla globalizzazione selvaggia.

Infine, a tutti coloro che capiteranno qui e si fermeranno ad ammirare i nostri paesaggi, a coloro che restandone incantati vorranno scegliere di stabilirsi qui, dico: “Quando vedrete qualcuno lavorare nei vigneti, fermatevi per un saluto.   Senza di loro e di quelli prima di loro, nulla sarebbe così com’ è.

A Tribute to the People of the Langhe

A Story about the Simple and Great People of the Langhe

       The storm was really menacing, with lightning and thunder following one another with flashes and terrifying bursts.

Ginota had called the children in, gathered the chicks in the henhouse, and lighted a candle to the Madonna statuette so that she could lay her holy hand to protect their harvest.

Pinotu and the two older boys were out to check all the mposte[1], since it often took only one little clod to divert the rainwater and ruin the soil.

Ginota was in full anguish. High in the sky she could see the terrible white cloud of hail, boiling; Pinotu and the boys were still out with only a sack to protect their heads.

       That piece of land was their most precious possession – they had fought for it, tooth and nail.

Pinotu had gone all the way to America to earn some money to buy a piece of land. He had had enough of being a sharecropper, always uncertain about the future and depending on the rich people’s moods. The piece of land he had managed to buy was not so much … a bit of a bush, a portion of an unstable hill that sat on herself at every prolonged rain, and a small ciabot[2]… but it was always better than the miserable life of the tenant farmer.

       Ginota and Pinotu had met at a ball during Carnival and they had immediately fallen in love. To arrange their marriage no bacialé[3] had been needed. She was a sharecropper’s daughter and had no dowry, but he did not care. She was young and strong, and she had never backed down in front of anything: her dowry was her elbow grease!!

Together, they had started to clear-cut the soil, and in autumn they had already planted some wheat. During the winter, Pinotu had begun the breach to plant a vineyard too. The soil was unstable, and it needed to be strengthened. He had examined its drawbacks, and then had excavated deep channels to reach the tuff. To collect all the water, he had arranged the channels in a herringbone pattern, and at the bottom he had built tunnels with the stones collected from the ground. Then, he had covered them with branches to provide a good drainage, and finally shielded all up with earth.

For two years, they had planted wheat, and when they were certain that the soil would no longer fall down, they had traced the grape rows to plant a Dolcetto vineyard.

       The rows coasted the steep slope of the hill with an imperceptible movement of descent towards the headlands to let the water of the storms flow out towards the regulation ditch, without forming furrows in the wrong places and dragging away the precious earth from the tuff subsoil.

That would also have made it easier for the oxen, since in whatever direction they had pulled the plough, it would have never been uphill.

The vineyard would have provided a secure income because the rich margari[4] from the mountains and the cascinè[5] from the plains would have rushed to buy up the precious Dolcetto grapes with no need of a middle person for the sale.

With his brothers, Pinotu had cut many chestnut poles in the piantunere[6] and during the winter he had debarked and sharpened them; he had then planted them all with the tips pointing along the row to give a sense of order. The result was a harmonious web of rows of vines that gave a sense of prosperity and filled the heart with hope for a better life. Ginota was very good at precisely tying the shoots, all of them straight, with the bunches well separated so that they could ripen well and provide a first quality harvest.

       Towards the end of the summer, when work was less pressing, Pinotu and Ginota sat in the shade admiring their small plot of land and thought it was a kind of earthly paradise. Every season had its fruit: a cherry tree, some peach trees, plums, figs, and then apples and pears for the winter.

       At the outlet of the drainage tunnels Pinotu had built a water collection tank and prepared a large basin with a large stone that served as a washhouse, so Ginota could do her laundry almost all year round without having to go to the stream at the bottom of the valley. That water was also used to soak the plants in their small vegetable garden, which provided plenty of vegetables. And all this from a piece of land on which nobody would have bet anything!

       In the meantime, some hailstones began to fall noisily along with the raindrops. Some tears fell on Ginota's face – Pinotu and the boys were still outside... and all the work of that year was at risk....

When she saw them come running in, soaking wet, her heart widened and even the hail began to decrease – it was now falling down mixed with water, and then it finally stopped.

That time they had been spared! The damage could not have been so big and if that had been the last hailstorm, they would still have had a good harvest.

       This is a little story of everyday life that has been written as a reminder of what lies behind the wine-growing landscape of the Langhe. The Langhe have been shaped as they are now by the many Pinotu, Ginota, Vigin, Jetina.......who knew the most hidden secrets of these lands and who, with their hard work, tenacity and vision, have moulded them, looking for a better future for themselves and their children. The most beautiful vineyards are still those traced by those simple but GREAT people!!

       I would like to pay tribute to all of them with the hope that their work will survive bureaucracy, technocracy and wild globalization. Let us always remember that without them and those before them, nothing would be as it is. That is why they deserve our most respectful homage.

 


[1] The small trenches that channel the rainy water.

[2] A small hut in the fields where the farmer’s tools are kept.

[3] The wedding matchmaker.

[4] Herdsmen.

[5] Landowners.

[6] Coppice.

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La Spagnola,  la terribile epidemia di inizio 1900.

Teresa sedeva vicino al suo bambino  malato e poggiava il capo sul letto distrutta dalla fatica e dal dolore. Erano già dieci giorni che non dormiva e c’ erano momenti in cui si sentiva mancare. Quella settimana  la “Spagnola” le aveva già portato via tre bambini. Non aveva più lacrime per piangere e voce per pregare. Oramai Dio non l’ ascoltava  più. Eppure lei aveva sempre accettato la Sua volontà,anche quando era difficile… Si era sposata a diciotto anni e per tre anni  non avevano avuto bambini.. Il dubbio che la loro casa fosse rimasta vuota era stato un grave assillo,e poi finalmente erano arrivati…forse fin troppo in fretta….  Uno ogni due anni…e lei qualche volta aveva anche pianto, pensava di non farcela a sopportare la fatica e quella nausea che era diventata la sua compagna per molti mesi della sua vita. Eppure li aveva  sempre accettati e amati con tutte le sue forze,perché Dio glieli aveva ripresi? Suo marito non parlava più,lui sempre così allegro e gentile ora camminava come un automa. Si occupava lui degli animali,mungeva le pecore, faceva le tume e portava in casa il latte per la colazione che nessuno più  beveva. Loro non si erano ammalati ma i bambini sì.

Teresa sentì il cane abbaiare e il rumore di un calesse. Ecco,era il medico che veniva a visitare il suo bambino malato. Il medico entrò,si avvicinò al letto del piccolo che dormiva di un sonno pesante,scrollò il capo e abbassò gli occhi. Non aveva il coraggio di parlare a quella donna a cui erano già stati portati via tre figli.

Accarezzò il bambino che si svegliò e iniziò a visitarlo. La situazione sembrava ancora molto grave,allora disse al bambino. “Ti piacerebbe andare a vivere con Gesù in Paradiso,con gli angioletti…”. E il bambino rispose:”Sì che mi piacerebbe,però prima mi piacerebbe mangiare ancora un po’ di quel “Bruset” che c’è in quella “ula” sulla finestra del granaio.”

Il medico sorrise,si girò verso Teresa e disse:”Non è ancora ora di andare in Paradiso. Questo si salverà!”.

Il cuore di Lei si allargò,con una mano accarezzò la fronte del suo bambino e  l’altra la appoggiò sul ventre dove c’era un'altra piccola creatura che sarebbe nata presto.

Dio aveva avuto pietà . Ci sarebbe ancora stato un futuro per loro…


 

Il temporale  era cessato improvvisamente e Cichin e Pinota fecero capolino da sotto al carro di fieno dove si erano rifugiati per ripararsi.

Avevano visto i nuvolosi avvicinarsi minacciosi e  avevano ammucchiato velocemente il fieno ormai quasi secco. Se si fosse preso il temporale sarebbe stato tutto rovinato.

Quando era quasi tutto caricato sul carro erano arrivate le prime gocce e le ultime inforcate le avevano raccolte di corsa e poi avevano aperto il telo per coprire il tutto.

Quando finalmente il telo fu legato loro erano bagnati fradici ma il fieno era in salvo.
Pinota era molto orgogliosa di quel telo fatto di un materiale nuovo, leggero e impermeabile chiamato plastica.

L’ aveva cucito lei durante l’ inverno.
Cichin aveva comprato del concime contenuto in sacchi di questo materiale e li aveva tagliati con cura per non rovinarli. Lei li aveva lavati nel ruscello  e cuciti con la vecchia macchina da cucire a pedale.
Aveva  sistemato tutte le scritte rivolte dalla stessa parte e aveva fatto una doppia cucitura come per le camicie.
In questo modo risultava un lavoro ordinato, robusto e impermeabile alla pioggia.
Man mano che il telo aumentava di volume il lavoro diventava sempre più difficoltoso ma Pinota non si scoraggiò e dopo alcuni giorni il telo era abbastanza grande da coprire un carro.
Il bello di questo nuovo materiale era che, oltre ad essere impermeabile, era molto leggero e facile da trasportare.
Loro avevano un telo di materiale incerato ma era pesantissimo e quando pioveva molto cominciava a trasudare acqua e alla fine si finiva di bagnare ugualmente le cose.
Anche il bue non si era bagnato perché anche per lui Pinota aveva cucito una leggera coperta di plastica.
Questo nuovo materiale era veramente una scoperta eccezionale.

Pinota aveva già comprato degli utensili di plastica: un secchio per l’ acqua del pozzo e un mastello per lavare i panni.
Il secchio aveva un piccolo difetto, era difficile da riempire nel pozzo perché galleggiava sull’ acqua ma con un po’ di accorgimenti si riusciva a riempirlo.
Bastava lasciarvi entrare un po’ di acqua per appesantirlo e poi sollevarlo e farlo scendere di colpo ed ecco che si riempiva completamente.
A quel punto si aveva un secchio pieno di acqua molto più leggero da trasportare dei secchi zincati o di legno.

Questa plastica era veramente una innovazione strabiliante!!!
Già  Pinota  e Cichin pensavano all’ uso che  avrebbero potuto farne…
Avrebbero cercato di non sprecarne neanche un pezzetto….!!!

In quegli anni le scoperte si susseguivano ad una velocità incredibile.
Prima l’ elettricità che permetteva di avere la luce di notte senza il pericolo delle candele e dei lumi, poi il “pipigas” che permetteva di cucinare le piccole cose senza accendere il fuoco, il concime chimico che aiutava nelle coltivazioni ed ora questa “plastica”… leggera, impermeabile e quasi indistruttibile!!!

50 anni dopo: stiamo affogando in un mare di plastica...  leggera impermeabile e indistruttibile ..!!


 

Splendido esempio di "Porta di Ingresso" degli sposi.
Era costruita davanti alla casa degli sposi con  alberi di pino, tralci di edera, fiori di carta crespa e stelle filanti.
Oggi sono stata a far visita a Jetina, che ha compiuto 92 anni, ed è ancora lucida e si ricorda perfettamente le vicende della sua gioventù.
Il suo nome di battesimo è Maria, ma tutti l’ hanno sempre chiamata Jetina, secondo l’ uso piemontese.
Ha già una pronipote che guida la macchina e va in discoteca.
-Eh...certo che le ragazze di oggi vivono in un mondo molto diverso... Io alla sua età ero già sposata e non sapevo neanche bene perchè.. Lo avevano deciso i miei genitori... Non che non sia stata contenta del mio Cichin.....,però non l’ ho scelto io.
La mia famiglia era molto povera e  sovente il cibo era appena sufficiente per sfamarsi .  Mio padre aveva un piccolo podere, ma non aveva un bue o una mucca per arare il terreno e doveva vangare a mano. Quando tornava dal lavoro la mamma gli faceva trovare quello che poteva da mangiare e a volte, quando il cibo non era sufficiente per tutti, diceva di avere già mangiato.
Fu così che a otto anni fui mandata a servizio presso una famiglia nei dintorni di Mondovì, dove  badavo alle pecore in cambio del mangiare. Era una famiglia che mi trattava bene e mi  mandava anche a scuola e così  ho imparato a leggere e scrivere e a fare i conti.

Ho la licenza di quinta elementare!!!
-Per quei tempi era già tanto! La gran parte dei ragazzi smetteva dopo la terza!
-Già,e quando ho avuto 17 anni e sono venuta in visita dai miei, mio padre mi disse: “ Io e tua madre abbiamo pensato che oramai hai l’ età per sposarti. Ci sarebbe tuo cugino Cichin (Francesco)
che sarebbe disposto a sposarti, anche se non hai la dote.” A quei tempi era importante la dote! Non era mica facile sposarsi se non si possedeva niente!

Cichin era un brav’uomo, anche se aveva dieci anni più di me e così risposi:”lo sapete voi cosa è meglio per me. Se dite che Cichin va bene,io lo accetto.”
-Certo che ....se si facesse un discorso così alle nostre ragazze.......Non oso pensare come la prenderebbero...A ragione comunque!!! E poi cosa successe?
-Ah...fu un periodo bellissimo!!! Venni a casa definitivamente da servizio e cominciai a preparare il corredo di nozze. Con i pochi risparmi che avevamo, comprammo della tela e io cucivo e ricamavo giorno e notte. Non potevo mica fare brutta figura..!!! Povera ma dignitosa!!

Cichin veniva sovente alla sera a “vegliare” (passare la serata ) e io ero un po’ intimidita, ma poco per volta imparai ad apprezzarlo, sarebbe sicuramente stato un bravo marito; e poi...se mi sposava senza dote, vuol dire che un  po’  gli piacevo!!!
-Sicuramente!
-E finalmente arrivò il giorno del matrimonio. Mica come adesso!!! Ci siamo sposati  un giovedì alle sei del mattino, con  solo i nostri padri e i testimoni. Quando siamo usciti siamo andati in un caffè e abbiamo preso una tazza di cioccolata calda con una fetta di “Cruciun”. Mi ricordo ancora adesso con quanto piacere l’ abbiamo assaporato!! Non ce lo eravamo mai permessi...

E poi di corsa a prendere il treno delle otto per Savona. Io non avevo mai visto il mare prima di allora!!
Passammo due giorni bellissimi!! Cichin era molto gentile con me e fui contenta di aver seguito il consiglio dei miei genitori.
Al sabato mattina prendemmo il treno per il ritorno. Alla stazione c’era una macchina ad aspettarci!! Salimmo emozionati e il tassista ci portò a casa. Ad aspettarci c’erano tutti gli amici e i vicini di casa. Gli uomini avevano tirato fuori tutti i fucili e quando eravamo quasi arrivati cominciarono a sparare in aria  in segno di festa.(Si diceva: “Facciamo la sparata per gli sposi.)
-Certo, che a sentir raccontare queste cose.... Pensa se oggi ai matrimoni qualcuno facesse una cosa del genere....
-E l’ accoglienza che ci hanno fatto!!! Durante i due giorni che eravamo  stati via erano andati nei boschi e avevano tagliato molti alberi di pino . (Cosa da andare in galera al giorno d’ oggi!).
Ci hanno preparato una porta d’ ingresso che era una meraviglia!!! Le donne e i bambini avevano preparato tanti fiori di carta crespa e avevano addobbato i rami dei pini.
Ogni bambino aveva imparato con fatica una poesia di auguri e ognuno ci recitò la sua. Alcuni erano piccolissimi  e dovevano essere messi su una sedia per essere visti.

Mi ricordo di una bambina che avrà avuto circa tre anni, che non osava parlare davanti a tutti , e continuava a volersi legare le scarpe ,anche se erano già a posto! Erano di una tenerezza.....!
-Ci si arrangiava con poco,ma ci si divertiva  lo stesso.
- Sotto il portico avevano preparato i tavoli per il pranzo. Per sedersi ci si arrangiava con degli assi e delle coperte.  Le donne avevano lavorato duro tutta la mattina per preparare il cibo. Non essendoci i frigoriferi, tutto era stato preparato sul momento.  Persino i polli e i conigli erano stati macellati la mattina stessa. Nei pozzi, dove la temperatura era più fresca, erano stati fatti scendere dei cestini con le cose più delicate, al riparo dalle mosche carnaie che depositavano il loro seme ovunque ci fosse odore di carne.
-Certo che.. con i frigoriferi è tutta un altra cosa!!
-Alla sera arrivarono i musicisti e si ballò sull’ aia fino a mezzanotte.

Quando tutti andarono a casa e noi ci ritirammo nella nostra camera , gli amici più intimi arrivarono a farci visita. Ci portarono lo zabaione per “tirarci su” e passarono ancora un ora con noi ridendo e scherzando.
Alla domenica mattina andammo a messa in paese, e tutti ci guardavano e facevano commenti. Eravamo “l’argomento del giorno”.
-Già! Mi sembra di sentirli!  “Guarda gli sposi! Che bella coppia!! Che bel vestito che ha lei! Pensare che è povera e senza dote!....
-Ma la festa non era mica ancora finita! A pranzo c’erano tutte le zie che non erano venute al matrimonio. Si  diceva: fare  le “none”. Questa era una festa per loro, perché spesso erano i  “capofamiglia” a partecipare al matrimonio in rappresentanza delle famiglie stesse. In questa occasione io mostrai il mio corredo e i pochi modesti regali che avevo ricevuto. Eh....cosa vuoi...erano cose di poco valore, ma ne conservo qualcuna ancora adesso!!....
- Altro che i regali dei matrimoni di oggi!! Gli sposi non sanno più cosa mettere nella “lista nozze” e dopo poco tempo mezzi i matrimoni si disfano....
-Deve esserci qualcosa di sbagliato  in questa società...... e non vengano a contarci che i giovani non possono mettere su famiglia  perché  non hanno le possibilità!!!! Forse che noi le avevamo? In queste condizioni abbiamo affrontato guerre e miserie, ma non sto più a raccontare.... Sei già stata paziente a stare a sentirmi....Sai, alla mia età si diventa un po’ patetici.....

Devo dire che questa visita mi ha fatto riflettere. Forse ha ragione Jetina!!! ...c’è veramente qualcosa che non va nella vita di oggi!!!  Ora che  i nostri ragazzi hanno  di tutto, non sono felici, sono insicuri e fragili. Forse li stiamo crescendo troppo al riparo dalle difficoltà?...........


 

Quando Detu compì otto anni la sua mamma pensò che fosse abbastanza grande per incominciare a prendersi qualche responsabilità.
Lo accompagnò all’ ovile ,scelse un bell’ agnellino maschio e gli disse: “Ora questo agnello è affidato a te, dovrai occuparti di lui, farlo pascolare, tenerlo pulito e stare attento che non si smarrisca e alla fine dell’ estate lo porterai al mercato dei “beru”(montoni).”Detu era orgogliosissimo di questo incarico,voleva dire che  la Mamma lo considerava già un uomo in confronto ai suoi fratelli e sorelle che erano più piccoli.

Da quel giorno il pensiero più importante per lui  fu la cura del suo agnello.

Al mattino prima di andare a scuola gli portava da bere e gli dava una manciatina di crusca e al pomeriggio,quando ritornava,verso le cinque,se lo prendeva e lo portava al pascolo.

Poi venne l’ estate e cominciarono le vacanze ed allora il bambino e l’ agnello diventarono inseparabili compagni di giochi. Al mattino si andava al pascolo e durante il giorno l’ agnello seguiva il bambino dovunque andasse. Ogni tanto brucava qualcosa nell’ orto e allora la Mamma  lo chiudeva nel recinto insieme al resto del gregge,ma verso sera si ritornava al pascolo e bambino e agnello ritornavano sempre che era quasi buio.
L’ estate passava e l’ agnello cresceva e verso la fine di agosto era uno splendido esemplare della sua razza.

Poi venne l’ ora di portarlo alla “Fiera deiBeru” e Detu partì in compagnia della Mamma e con l’ agnellone legato con una cordicella.

Quando arrivarono sulla piazza videro che il loro agnello era uno dei più belli e capirono che avrebbe fruttato una bella somma.
Gepin  del Brich stava cercando un bel montone per le sue pecore,ma doveva essere mansueto perché aveva dei bambini piccoli e sovente i montoni li prendono a cornate senza pietà.
Quando vide quel bell’ esemplare condotto da un bambino non ebbe esitazioni. Quel montone era quello che gli serviva. Se si fidavano a farlo condurre da un bambino,doveva essere per forza mansueto.
Non fece una lunga contrattazione perché  anche altri allevatori gli avevano messo gli occhi addosso e in pochi minuti si aggiudicò l’ animale.
Detu accompagnò il montone fino al carro di “Gepin del Brich”,lo legò al tornio mentre la Mamma contava il denaro ricavato.

Quando si allontanarono Detu era un po’ triste per aver lasciato il suo compagno di giochi,ma la Mamma lo consolò ricordandogli che l’ agnello sarebbe stato bene e lui avrebbe potuto comprarsi un portapenne nuovo e quel libro di avventure che desiderava tanto, e poi…ci sarebbero stati tanti agnelli nella sua vita… Dalla prossima primavera avrebbe potuto scegliere un altro agnellino.
Gepin slegò il bue e si avviò verso casa con il carro e il giovane montone legato dietro. Per tutto il tragitto il montone puntò i piedi e se non fosse per il bue che lo trascinava non sarebbe mai riuscito ad arrivare a casa.

Quando lo mise fra le sue pecore un po’ si calmò ma ogni volta che qualcuno entrava nel recinto o faceva uscire il gregge al pascolo il montone caricava senza pietà. Gepin non riusciva a spiegarsi la cosa. Eppure aveva visto con i suoi occhi quel montone accompagnato da un bambino…!! E un giorno che  il montone caricò uno dei suoi bambini e rischiò di ucciderlo  si rassegnò ad abbatterlo..….


 

Il vecchio padre saliva per il sentiero che portava alla casa di suo figlio.
Era profondamente turbato e preoccupato per  quello che avrebbe dovuto consigliare.
La sua giovane nuora era una bella donna, lavoratrice, conduceva bene la casa e cresceva bene i figli. Al martedì portava dei bei cesti di tume al mercato e non faceva mancare nulla in casa. Ora era nato un nuovo bambino e una vicina invidiosa aveva insinuato nella mente del figlio il sospetto che il bambino non fosse suo. “Non vedi come assomiglia al “servitù” che avevi qui l’estate scorsa? E’ biondo come lui e il naso…il naso è uguale al suo…”.

Quel mattino lui era nella vigna e quando aveva visto  arrivare il figlio con lo sguardo cupo aveva capito che era successo qualcosa di grave.  Aveva subito pensato che fosse capitato qualcosa di brutto alla nuora o al bambino,ma non si aspettava una cosa così.

“Ora ,Padre,che cosa faccio? Come mi devo regolare? Vi prego,aiutatemi!”

Ed ora eccolo lì che saliva per il sentiero verso la casa del figlio con quel peso enorme sulle spalle.
Arrivato in cortile vide i suoi tre nipoti corrergli incontro.”Cè  Cè (nonno) fateci “cavallino gio gio gio”…” e la più piccolina  gli tirava la giacca per farsi prendere in braccio.
Erano proprio dei bei bambini.
Il figlio lo fece entrare in casa. L’atmosfera era pesante,la questione gravissima.
Nella culla c’era un bel bambino che dormiva beato.

Il vecchio padre lo guardò,vide lo sguardo disperato del figlio e sentì le risate degli altri bambini che stavano giocando nel cortile.
Allora si avvicinò alla culla,prese il bambino in braccio e lo avvicinò alla finestra,guardò il figlio, guardò ancora il bambino  che nel sonno sorrise.
Ora sapeva cosa fare.  “Questo bambino ti assomiglia, è uguale agli altri. Secondo me è figlio tuo. Tieni la vicina lontana dalla tua casa ”.
Mentre scendeva il sentiero per tornare a casa capì di avere fatto la cosa giusta.
Lo sguardo di suo figlio si era rasserenato e un bambino è pur sempre un bambino ed è della famiglia che lo cresce.. e poi.. forse era veramente uguale agli altri….